martedì 30 novembre 2010

ELOGIO DELLA SOLITUDINE

28 ottobre

L’uomo,animale sociale,filantropo,dotato di una miriade di sfaccettature e sfumature psicologiche che lo differenziano da qualunque altro essere vivente .L’uomo ha la possibilità di DECIDERE come muoversi nel mondo e verso cosa tendere,anche se quella dell’operare delle scelte è solo un’illusione. Infatti non tutte le decisioni che prendiamo sono frutto da libero arbitrio del background di situazioni che ci attorniano. Pensiamo al concetto di gettatezza di Sartre:l’uomo non ha la capacità di decidere quando e dove venire al mondo,ragione per la quale sarà sempre animato da grandi enigmi senza risposta. Non parlo di predestinazione,quanto più di agenti esterni che ci influenzano,come un concetto estrapolato dal pensiero taoista insegna:la vita è un lungo fiume che scorre ed il suo greto è delimitato da argini e non possiamo dunque deviare il suo corso,ma semplicemente lasciarci andare e seguire il fluire della corrente. Non si parla di passività nei confronti della vita,ma di naturalezza,di una democrazia decisionale senza forzature e brusche risalite contro corrente. A questo si aggiungono turbolenze nelle quali inevitabilmente incappiamo nel corso della nostra esistenza e apporteranno delle modificazioni soprattutto i trascorsi avvenuti durante l’infanzia influenzeranno in larga parte la personalità dell’uomo adulto. Durante l’età puerile infatti si gettano le fondamenta per la costruzione dell’adulto. Questa visione è stata introdotta ex novo da John Locke ,il quale definiva la mente di un infante un foglio bianco sul quale si andranno ad imprimere le idee grazie all’esperienza. Benchè questo pensiero fosse molto rivoluzionario, il bambino venne considerato un adulto in miniatura fino al’700, e solo con Rousseau si inizierà ad assumere una visione puerocentrica nella psicologia. Da quel momento si iniziò a studiare a fondo la psicologia dell’adulto,andando a cercare il fattore eziologico di determinate anomalie comportamentali in trascorsi dell’infanzia. Il modo di gestire le relazioni interpersonali viene forgiato durante l’infanzia ed in particolare, secondo gli studi condotti da Mary Ainsworth,dal tipo di legame di attaccamento che il bambino sviluppa nei confronti della figura genitoriale : un attaccamento debole avrà delle gravi ripercussioni nell’ambito delle relazioni interpersonali, causando,ad esempio,isolamento e gravi “menomazioni sociali” . L’interazione sociale è il fulcro attorno al quale ruota l’esistenza umana, soprattutto nel contesto attuale dove l’altissima densità di popolazione ed i bombardamenti mediatici sembrano inviare taciti messaggi volti a cauterizzare e sotterrare il contatto con il proprio io. Questo “sfregamento antropologico” forzato sta creando notevoli danni alla psiche umana,sono solo a livello fisico,con l’insorgere esponenziale di stress ma soprattutto a livello mentale : l’assenza dell’altro porta infatti a concentrarsi sul proprio io, a riflettere e dialogare interiormente. Risulta quasi impossibile introiettare delle idee originali e diverse da quelle che ,come una pandemia di pidocchi,balzano da una mente all’altra. La solitudine “part time” è avvallata da numerosissime testimonianze,soprattutto lo è dalle lobby della letteratura .Prendiamo ad esempio la Bibbia,dove troviamo uno dei più conclamati episodi di solitudine terapeutica : Gesù ed i quaranta giorni nel deserto,a seguito dei quali egli raggiunse una maturità solenne ed aulica,quasi illuminata oserei dire e che probabilmente non avrebbe colto stando in contatto con altre persone. Scegliere dunque di restare soli non è un sintomo di misantropia latente,ma una scelta consapevole di un soggetto pensante al quale non basta vivere per luoghi comuni e rimasticare pensieri più volte “sverginati”. Questo rimanere in solitudine coincide sovente con un’immersione nella natura grezza,scelta inconscia sia di forgiatura romantica al retrogusto di Coleridge ed i suoi Daffodils, sia di stampo elegiaco alla Titiro che compone al flauto sotto un ampio faggio ombroso. V’era anche un Petrarca,il quale errava solo per i campi,errava <>. Pensoso e solo,binomio quasi inscindibile in quanto il bisogno di solitudine sfocia inevitabilmente nella riflessione. L’ascetismo naturalistico risulta avere un effetto placebo sulla mente umana, sublimando conflitti e stress quotidiani. Parliamo di quel pastore dell’ Asia che errava e si rivolgeva alla luna : immerso nella tranquillità agreste egli rivolgeva le sue domande alla luna,interlocutrice ideale. La natura divine personificazione di un compagno fittizio. L’uomo è assillato e perseguitato da grandi domani,non è una proiezione eroica ideale,va rifiutata in ogni termine,come d’altronde fece il poeta greco Archiloco,la Kalokagathia, che induce gli esseri umani a non riflettere e non conoscere i propri limiti. Per essere humanus,è necessario un giusto bilanciamento tra dialogo e silenzio; per apprezzare l’uno è necessario non escludere l’altro. Il rapporto solitudine-natura viene ripreso da un autore contemporaneo, Sergio Bambaren, il quale narra di dialoghi con “il grande blu”(il mare) e di viaggi lunghissimi con il solo scopo di rintanarsi in un angolo sperduto del globo per poter riflettere ed appurare che il mondo di oggi non è a misura d’uomo ma una follia dilagante . La solitudine,quando rappresenta il contrappeso per i momenti di ricreazione sociale non è deleteria .Continuando a bandire il restare da soli si rischia di assistere ad un’inversione di marcia,un’involuzione sociale che sfocerà in una crisi di sociopatia generale. Tale comportamento non è affatto sano,anzi,rappresenta un forte disagio . Spesso l’uomo è costretto alla solitudine forzata oppure soccombe all’idea che si nasca e si viva da soli. Prendiamo ad esempio una delle opere di Gabriel Garcia Marquez 100 anni di solitudine,. Il titolo è emblematico e sembra quasi non essere attinente alla trama,ma approfondendo la nostra indagine possiamo comprendere che la solitudine è la condizione di ogni essere umano all’interno del microcosmo,rappresentato dal susseguirsi delle generazioni,soggette al tempo ed alla morte. Evidenziamo dunque una situazione di estrema sfiducia nel pensiero della’autore, molto simile a quello rappresentato da Dino Buzzati ne Il deserto dei Tartari nel quale troviamo un uomo emarginato dalla società che attende solo la morte,unica via di salvezza. Questa visione della solitudine non gioca a favore della mia tesi,ma sono un chiaro esempio di persone che non hanno saputo giostrarsi tra gli estremi dell’isolamento e della vita di gruppo. Non sconfiniamo in comportamenti morbosi, non chiudiamo i canali di comunicazione con gli altri esseri umani come il “fortunato” Paolo Giordano scrive nella sua opera La solitudine dei numeri primi, bisogna essere abili e cercare di barcamenarsi in mezzo alle rapide imparando a capire che,come scriveva De Andrè nella sua Anime salve <>anche nella solitudine avremo sempre un fedelissimo compagno : noi stessi.

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