venerdì 6 novembre 2009

FISH 'N LIPS

02 ottobre 2009

Settembre,il buio del mattino di città era ben visibile,oltre i fili del tram,avvolti da un sottile strato di nebbia. Il colorato bikini era ormai un aquilone fuggito dalle mani di un’incauta bambina. Si accese una sigaretta con disinvolta sicurezza,un gesto meccanico che era entrato a far parte del suo essere. La notte precedente era rimasta a pensare fino a tardi, facendo vagare i pensieri in ogni parte del mondo,per poi tornare miseramente sempre da lei. Non le erano servite le risate cullate dall’amaro di una birra, seduta con gli amici di sempre a discutere di cose banali, scontrandosi con le sue scelte di vita e la sua natura, spesso ancora troppo difficile da accettare. Quando era rincasata il buio l’aveva inghiottita nuovamente, seccandole la gola e facendo sgorgare dal suo cuore sangue scuro, mescolato all’immagine di quella bellissima principessa con la giacca di pelle. Non riusciva a superare il dolore di averla persa.,tutto per colpa della sua smania di assoluta verità-deve sapere,deve sapere-si ripeteva nella sua mente,eppure mentre confessava la colpa di amare,il suo cuore sapeva che le sue parole non avrebbero portato a nulla,o al meno,non a quello cui mirava lei da troppo tempo. La scuola s’innalzava davanti a lei,in tutto il suo rosso splendore, portando con sé responsabilità e doveri che lei ancora non aveva imparato a rispettare. Le regole,troppo statiche,così attraenti nella loro rigida confezione,erano fatte per essere infrante e lei era davvero brava a farlo. Costretta nella sua maledetta immaturità affrontava ogni scaglia di esistenza a muscoli contratti, come un gladiatore era sempre al centro dell’arena,pronta a combattere la morte certa. Quella mattina lo stomaco premeva sugli organi,le doleva,troppo fumo,troppo alcool,troppe notti insonni…troppa lei. Con prepotenza si era insinuata nella sua biosfera alterando ogni ritmo vitale,ed ora lei era incapace di disinfestare il suo corpo. Quella dolorosa dipendenza la divorava e lei era consapevole che più la desiderava,più il suo senso di smarrimento aumentava. Dovrebbero proibire l’innamoramento,non è meno nocivo della droga o di qualsiasi altra sostanza inebriante,è una malattia sociale che colpisce ogni individuo,provocando morte e desolazione. Quanti cuori rastrellati via dal netturbino tra i mozziconi e la polvere della metropoli,li incontrava ogni mattina, tra i riccioli di quel ragazzo alto, sulle labbra della biondina con il fermaglio nero, agganciati alle stringhe rosse di quelle scarpe luride. Studiava la gente come se avesse il diritto di farlo,lo faceva da sempre. Leggeva negli occhi delle persone raschiandone il fondo e cercando di capire cosa celassero dietro iridi carnevalesche. Salì le scale in legno,cigolanti e segnate dal passaggio di giovani gambe,mentre il suo pensiero evadeva da quelle vetrate per volare al di là di ogni confine razionale. Era una dolce ossessione che le pervadeva le calde membra raggelando ogni goccia di vitale flusso. Autolesionismo. Aveva un unico nome. Nonostante sapesse quanto fosse sbagliato e contro ogni logica esistenziale,continuava a cercare la sua regina in ogni anfratto della sua giornata,sperando di imbattersi tra la folla,in occhi simili ai suoi. Erano dolci, color miele,in una culla bianca di sofferenza sommessa. Sarebbe impazzita per la morbidezza dei suoi capelli,sciolti su quel collo bianco che scatenava in lei una irresistibile voglia di vestirla di baci,teneri,lenti,passionali. Ma non poteva,lei non era un principe azzurro e non le era concesso salvare la sua bella dalle sofferenze,proteggerla dal male e far trionfare il bene scoccandole il più dolce dei baci su un letto di rovi. La verità era che l’aveva persa per una scelta imposta da qualcun altro, una forza superiore inarrestabile che col suo mantello nero l’aveva avvolta senza che lei potesse opporsi. Quelle mille bellissime labbra non l’avevano distratta, la sua mente restava seduta sulle sue curve senza che lei potesse cercare di vivere i suoi anni senza pensieri,ogni bacio svenduto senza peso era una pugnalata nel petto, ogni bugia lasciata tragicamente vibrare la divorava –Sei bellissima- aveva ripetuto troppe volte a sconosciute in cerca di trasgressione. Ogni volta tornava a casa,salendo gli scalini bianchi,chiudeva dietro di se il portone color sabbia e subito sprofondava nella solitudine più totale, sentendosi in colpa per quello che aveva commesso. Non esiste sapone che possa lavar via lo sporco di un amplesso imposto e non desiderato, l’odore della passione si annoda sulle fibre eliminando ogni possibilità di dimenticare il peccato commesso. Aveva tanti amici,volti che conosceva fin troppo bene, ma questo non le bastava, la sicurezza che automaticamente faceva sua nel gruppo spariva istantaneamente ogni qual volta si trovasse tragicamente sola. Ripensava all’anno trascorso,alle mille difficoltà affrontate,ai dissidi interiori che l’avevano indebolita e alle troppe volte nelle quali,rinchiusa in un bagno in disordine o raccolta nel suo letto,aveva visto il suo stesso sangue abbandonare le violacee vene, con impressionante lentezza scorreva lungo i suoi polsi,girando sulle unghie e cadendo a terra. Adorava sentire il dolore materializzarsi e poterlo finalmente battezzare Chiunque in quel modo,poteva toccar con mano la sua sofferenza, era molto più facile per lei spiegare cosa stesse succedendo. Ho sbattuto contro la finestra,si è rotta una tazza, ho un gatto feroce. Scuse inventate per celare la vergogna di una debolezza dilagante,alle quali sperava che nessuno credesse. Si sentiva finalmente padrona della sua vita,in quei frangenti di fredda follia decideva di dar forma ai suoi problemi, incidendo sulla sua carne parole mai dette. Una volta tentò di scusarsi,scrivendo un rudimentale PERDONAMI,ma il dolore era troppo grande e i tagli troppo profondi,fu l’ultima volta. La paura l’aveva immobilizzata. Stava completamente perdendo di vista la bellezza di vivere, le sue giornate erano grigie, morivano sulla sua giovinezza senza essere scartate. Poi arrivò lei,con la sua voce la risvegliò dal coma riportandola a galla senza timore la legò alla sua vita,si prese cura di lei,come se fosse un cucciolo smarrito. Il suo calore materno la inondava nonostante la distanza. In poco tempo divenne la sua panacea, sentiva che il respiro la abbandonava se non riusciva a sentirla ogni giorno, il bisogno di vederla divenne quasi fisico, le doleva il ventre, il tremore s’impossessava dei suoi arti e la voce le spariva. Dopo mesi riuscì finalmente a dare un nome a tutto questo. Tragicamente amore. Si domandò come all’improvviso tutto questo le sembrava esistesse da sempre, non riusciva a ricordare come fosse la sua vita prima di incontrare la sua contessa, amava il rischio di andare in overdose per colpa di quel corpo di donna maledettamente bello. Le appariva come una creatura perfetta, priva di negatività, la sua salvezza fatta persona, il suo unico appiglio,nella sua vicinanza trovava sufficienti motivi per alzarsi dal letto ogni mattino. Lasciava che le sue giornate dipendessero dalla sua volontà,senza trovar la forza di dar un senso alla sua vita che non fosse trascorrere le ore dietro ad un monitor a fissar il suo nome lampeggiare. Suonò la campanella e lei venne ricatapultata nella realtà-cazzo,non ho preso mezzo appunto,deficientedeficientedeficiente,devi fare qualcosa santo iddio,mica vorrai ripetere la cazzata dell’anno scorso!- In realtà non sapeva cosa volesse da troppo tempo, non programmava nulla,viveva nel ricordo di un’estate ai limiti della perfezione e di un amore sbagliato che cresceva in lei ad ogni parola scritta con la mano incerta.

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