venerdì 6 novembre 2009

SUTURE OMBELICALI

06 ottobre 2009

Quando l’autunno giungeva a sbattere sulle imposte Sara amava dormire sotto la pesante coperta,completamente nuda lasciando la finestra socchiusa per sentir la fredda brezza passarle tra i capelli e annodarle i sogni. Ogni sera l’appetito l’abbandonava e quando il buio era ormai in ogni dove,riempiva la sua dimora con della musica e si rinchiudeva in doccia,dedicandosi alla cura del suo corpo per lunghe ore. Lasciava che l’acqua calda scivolasse su di lei,levando sporcizia e stanchezza,avvolgendola con un profumo di violetta che si spandeva per tutto il bagno. Viveva da sola da qualche anno,precisamente da quando la sua ultima coinquilina, si era trasferita in centro. L’indipendenza aveva i suoi aspetti positivi certo,ma troppe volte Sara era assalita dal terrore di finire i suoi giorni in solitudine,nonostante fosse ancora giovane e bella. Anche quella sera di fine ottobre si sedette sul letto con la consueta tisana notturna,il pc sulle ginocchia e una manciata di idee sparse per la sua mente. Scriveva. Tutto ciò che le attraversava la mente trovava accoglimento tra le parole battute freneticamente al computer, senza taboo tramutava i suoi amori e le sue delusioni in bellissime poesie che nessuno aveva mai letto. Le sue parole erano destinate a rimanere intrappolate in quell’acquario tecnologico per sempre, lei le rileggeva ogni qual volta un pensiero doloroso tornasse a turbarla dal passato,esorcizzava il dolore ritrovando tra le sue parole l’equilibrio,ma non consentiva a nessuno di violare il suo lucchetto. Spesso si chiedeva cosa la spingesse la notte a restare alzata fino a quando gli occhi non le bruciassero a causa della stanchezza,continuava a rigurgitare fiumi di parole senza sapere esattamente a cosa esse portassero. Seguiva il flusso di coscienza che la attraversava in ogni istante della sua giornata, e le idee nascevano dal nulla mettendo al mondo delle piccole opere d’arte. Tra quegli scritti imperfetti Sara ritrovava ogni episodio della sua esistenza, tutti i suoi dolori invalicabili, i suoi sorrisi splendenti, la sua apatia generazionale del cazzo. Il suo corpo sottostava ai voleri della mente, senza potersi opporre, il cuore per esempio,non poteva opporsi di aumentare il suo ritmo quando i pensieri si annidavano su di lei,così come lo stomaco non scioglieva i propri nodi quando il cervello proiettava bellissime immagini di un amore mai esistito. Era una monotona sindrome terminale alla quale non v’era cura.Solo l’attesa avrebbe portato alla morte completa,e lei non aspettava altro,ma allo stesso tempo non voleva lasciare andare quelle sensazioni che in un modo o nell’altro la facevano sentire viva. Senza questo dolore lei non aveva nulla che la tenesse in vita,non aveva una storia da raccontare, non aveva nulla. Aveva basato la sua esistenza dell’ultimo anno su questo amore tormentato che poco a poco aveva smangiato la sua integrità morale. Ed ora non le rimaneva nulla. Ora avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo, nuovi occhi da leggere, nuova carne da amare, nuova anima da proteggere. Cazzo.

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